Cosa posso mangiare? È questa la domanda che i pazienti con malattie infiammatorie croniche intestinali (malattia di Crohn e rettocolite ulcerosa) pongono spesso al loro medico, ottenendo non di rado risposte generiche e poco convincenti. Eppure l’assistenza nutrizionale è raccomandata dalle linee guida internazionali, nonostante nelle varie realtà ospedaliere la figura del nutrizionista non sia sempre presente: «È invece fondamentale una maggiore sensibilizzazione dei medici e delle organizzazioni sanitarie a riguardo», mi ha spiegato Camilla Fiorindi, nutrizionista presso l’Azienda ospedaliera universitaria Careggi di Firenze.

La dieta occidentale e il microbiota

Se è vero che l’eziopatogenesi delle MICI chiama in causa fattori genetici e anomalie nel funzionamento del sistema immunitario, negli anni si è compreso che un ruolo è giocato anche dall’alimentazione. La cosiddetta Western Diet, l’alimentazione che seguiamo in occidente caratterizzata da un alto contenuto di grassi e zuccheri raffinati provenienti da cibi processati e da uno scarso contenuto in fibre, sembra essere un possibile fattore predisponente che agisce sulla composizione del microbiota, il cui equilibrio sembra giocare un ruolo nell’eziopatogenesi delle MICI.

La terapia delle MICI: lo stato dell’arte

Gli alimenti industriali

«Diversi studi su modello animale», spiega Fiorindi, «hanno dimostrato che il consumo di grassi saturi, zuccheri semplici, additivi alimentari e dolcificanti di sintesi produce uno squilibrio tra le popolazioni microbiche del microbiota intestinale, determinando un aumento nella produzione di molecole proinfiammatorie». Sembra dimostralo anche un recente studio canadese della McMaster University pubblicato su Nature Communications che si è concentrato sull’effetto di un consumo prolungato di un colorante alimentare, l’E-129, come possibile fattore scatenante. Secondo i ricercatori, infatti, un’esposizione continua a questo colorante rosso potrebbe generare infiammazione intestinale e alterare il microbiota.

Dieta sana con buone quantità di fibre

Ma in definitiva cosa dovrebbe mangiare una persona con MICI? La valutazione va fatta dal gastroenterologo e dal nutrizionista sulla base di vari fattori, quali la condizione fisica generale, lo stato della malattia e le caratteristiche della stessa. «In generale la dieta deve essere caratterizzata da un discreto quantitativo di fibra, per contribuire a una maggiore produzione di acidi grassi a corta catena da parte del microbiota favorendo la corretta funzionalità della mucosa intestinale e di composti bioattivi ad azione antiossidante e antiinfiammatoria», spiega Fiorindi.

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Alimenti infiammatori?

Naturalmente occorre fare aggiustamenti a seconda che la malattia si trovi in stato di attività o di remissione e sulla base dei sintomi, della localizzazione della recidiva e della storia chirurgica pregressa, ad esempio evitando o limitando alcuni alimenti. In caso di sintomi persistenti durante la fase di remissione può invece essere utile una dieta a basso contenuto di Fodmap, sigla che indica gli oligosaccaridi, disaccaridi, monosaccaridi fermentabili e polioli, normalmente prescritta nei pazienti con sindrome dell’intestino irritabile. «I Fodmap sono alcuni tipi di carboidrati a catena corta fermentabili che, in certi casi, non essendo assorbiti dall’intestino possono determinare sintomi quali meteorismo, distensione, gonfiore, pienezza, fastidio addominale e diarrea».

Le indicazioni per gli stomizzati

Particolare attenzione va posta ai pazienti portatori di stomia in seguito a colectomia: in questi soggetti le feci che fuoriescono sono semiliquide causando un riempimento rapido del sacco. La gestione della stomia può però essere migliorata seguendo alcune regole: «Si possono fare cinque pasti al giorno invece che tre più abbondanti, consumando una cena leggera e mantenendo orari regolari», dice Camilla Fiorindi. «È buona norma masticare bene e lentamente e bere due litri e mezzo di acqua al giorno, sempre lontano dai pasti». Gli stomizzati dovrebbero preferire preparazioni e cotture sane e cibi che aiutano a compattare le feci limitando quelli ad alto contenuto di fibre.

Crohn e colite ulcerosa? Misconosciute

L’integrazione alimentare per le MICI

C’è poi il capitolo integratori e nutraceutici, che possono essere utili ai pazienti in caso di carenze nutrizionali: «Queste si possono presentare conseguentemente a una riacutizzazione della malattia e dipendono dalla localizzazione della recidiva, dalle terapie farmacologiche ed eventualmente chirurgiche eseguite», prosegue Fiorindi. «L’assunzione deve avvenire dopo valutazione tramite esami del sangue e deve quindi essere sempre consigliata dal proprio medico o nutrizionista». Le carenze che si possono verificare più frequentemente sono quelle di ferro, vitamina B12, vitamina D, calcio, zinco, potassio, magnesio e acido folico. «Al momento c’è interesse anche sulle potenzialità dell’integrazione di curcuma e di Omega-3 per il loro effetto antiinfiammatorio».

punto esclamativoLa dieta di esclusione della malattia di Crohn. Recenti studi scientifici condotti su bambini e adolescenti con malattia di Crohn hanno dimostrato effetti positivi sul raggiungimento della remissione in caso di malattia di grado lieve-moderato seguendo una particolare dieta associata a nutrizione enterale parziale: si tratta della dieta di esclusione della malattia di Crohn (Cded), che prevede l’eliminazione di alimenti che possono causare un aumento della permeabilità intestinale e modificazioni del microbiota in senso proinfiammatorio. L’indicazione terapeutica per la Cded, però, non è stata ancora definita e pertanto deve essere prescritta in casi selezionati dal gastroenterologo di riferimento.

L’articolo completo su Farmacia News, aprile 2023

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