Uno studio condotto presso la Fondazione Santa Lucia di Roma in collaborazione con l’Istituto di farmacologia traslazionale del Cnr di Roma ha individuato, in modelli sperimentali, possibili strategie terapeutiche per sindromi autistiche esclusivamente presenti nel genere femminile, che appaiono legate ad anomalie anatomiche e funzionali dell’ippocampo. La ricerca, pubblicata su Translational Psychiatry, è stata coordinata dalla neurobiologa e ricercatrice del Cnr Annabella Pignataro e condotta sotto la supervisione di Martine Ammassari-Teule, direttrice del laboratorio di psicobiologia della stessa Fondazione.
Cos’è l’autismo femminile
Il disturbo dello spettro autistico è una patologia del neurosviluppo che si manifesta con un rapporto di prevalenza maschi-femmine di 4 a 1, un dato che ha portato la ricerca a concentrarsi sulle sindromi autistiche del genere maschile. Negli ultimi anni, le ricerche hanno fatto progressi sulla caratterizzazione di geni detti di “suscettibilità”, le cui alterazioni sono associate alla manifestazione di comportamenti autistici. «Un ruolo chiave è stato attribuito ai geni implicati nella formazione e nel corretto funzionamento delle sinapsi eccitatorie e inibitorie», spiega Pignataro: «alterazioni di tali geni determinano uno squilibrio nel bilancio eccitazione/inibizione». Lo studio è stato condotto utilizzando un modello sperimentale in cui la mutazione di un gene altera il bilancio eccitazione/inibizione e produce un fenotipo autistico esclusivamente nel genere femminile. «Il meccanismo attraverso il quale la mutazione contribuisce all’insorgenza della sindrome risiede nell’insufficienza dei processi autofagici», prosegue la studiosa, «ossia quelle funzioni attraverso le quali le cellule si liberano degli scarti metabolici».
Prospettive terapeutiche future?
Il team ha scoperto che, attraverso innovative tecniche di manipolazione dell’eccitabilità neuronale, è possibile intervenire e ristabilire il corretto equilibrio tra inibizione ed eccitazione nei circuiti neurali dell’ippocampo, una regione cerebrale adibita ai processi di memoria e di apprendimento e al comportamento sociale. «Oltre a ripristinare normali livelli di eccitabilità nei neuroni ippocampali, questa tecnica si è rivelata in grado di contrastare i disturbi neuronali caratteristici dell’autismo, di ristabilire la plasticità sinaptica e i livelli dei recettori degli estrogeni in ippocampo e soprattutto di prevenire l’insorgenza di comportamenti disfunzionali nell’ambito dell’interazione sociale e dell’attenzione», spiega la ricercatrice. Il risultato apre nuove e concrete prospettive per trattamenti specificamente progettati per le donne autistiche.