La malattia renale cronica non è più sinonimo di dialisi: grazie ai progressi scientifici, la prevenzione e la terapia dietetico-nutrizionale possono aiutare a ridurre il carico della patologia. In Italia la malattia renale cronica interessa circa il 10 per cento della popolazione adulta, percentuale che sale al 50 per cento in presenza di comorbilità quali diabete, ipertensione arteriosa, obesità e ipercolesterolemia. La malattia si presenta senza sintomi evidenti, e per questo non di rado rimane a lungo non diagnostica, determinando ritardi nell’accesso ai percorsi di cura e importanti ripercussioni sullo stato di salute di chi ne è colpito.
Le comorbilità della malattia renale
A ricordare quanto è ampio il margine di intervento per rendere la condizione meno onerosa ed evitare la dialisi sono stati gli esperti intervenuti alla celebrazione della Giornata mondiale del rene, lo scorso 9 marzo. «Le persone con malattia renale cronica sono fragili, maggiormente esposte a rischi rispetto ad altre malattie e con importanti bisogni di salute che vanno soddisfatti e tutelati», ha detto Massimo Morosetti, presidente della Fondazione italiana rene. «Partendo da appropriati sistemi di diagnosi è possibile prevenire l’insorgenza della malattia renale cronica e soprattutto scongiurarne le complicanze, a beneficio della salute dei milioni di persone che ne sono affetti».
La terapia dietetico-nutrizionale
Accanto alle terapie farmacologiche oggi disponibili è essenziale infatti abbinare un’adeguata alimentazione: è solo dal connubio di questi due elementi che può essere implementata una strategia in grado rallentare significativamente la progressione della malattia ed evitare la dialisi. Purtroppo ancora oggi le persone con malattia renale cronica sono spesso poco consapevoli dell’importanza della terapia dietetico-nutrizionale: «Questa», aggiunge Ersilia Troiano, presidente dell’Associazione scientifica alimentazione, nutrizione e dietetica, «è una vera e propria terapia e, come tale, deve essere elaborata sugli effettivi bisogni del paziente». Ma non basta. Per giocare d’anticipo occorre anche mettere a punto percorsi di diagnosi e presa in carico strutturati e condivisi fra gli specialisti coinvolti, e cioè nefrologi, cardiologi, diabetologi e medici di medicina generale, questi ultimi impegnati in screening per la ricerca della patologia nei soggetti a rischio.