Il 21 settembre scorso si è celebrata la giornata mondiale dell’Alzheimer. La malattia, una delle cause più comuni di demenza, ha visto negli ultimi anni alcune novità interessanti che fanno sperare i malati e i loro familiari. Soltanto pochi mesi fa, a giugno, l’Fda approvava il primo farmaco che appare efficace nel trattamento della patologia: l’anticorpo monoclonale aducanumab rappresenta la prima terapia che mira alla fisiopatologia fondamentale della malattia. Non agisce cioè solo sulla sintomatologia, ma sembra ridurre le placche amiloidi responsabili della degenerazione cognitiva, rallentando così l’evoluzione di questa gravissima patologia fino a oggi di fatto senza cure.

Anziani, quel leggero declino…

Una nuova tecnologia per la diagnosi

Non è tutto: in un lavoro recentemente pubblicato sulla rivista Frontiers in Neuroscience un gruppo di ricercatori del Centro San Giovanni di Dio Fatebenefratelli di Brescia, in collaborazione con l’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri di Milano e l’Istituto neurologico Carlo Besta, sempre di Milano, hanno messo a punto un nuovo saggio di spettrometria di massa per l’identificazione e il dosaggio di diverse forme del peptide beta amiloide nel liquido cerebrospinale di pazienti con malattia di Alzheimer. È proprio l’accumulo cerebrale di questo peptide, detto Abeta, a caratterizzare l’evoluzione della patologia: il suo dosaggio permette pertanto di quantificare in maniera rapida e semplificata rispetto ai metodi esistenti 19 forme di Abeta, compresi alcuni mai dosati prima nel liquido cerebrospinale.

Una musica può fare (VIDEO)

Nuovi target terapeutici?

Lo studio è stato condotto su pazienti con Alzheimer, su soggetti con lievi disturbi di memoria e su soggetti senza oggettivi disturbi di memoria come gruppo controllo. Dai dati è emersa un’alterazione del livello di cinque frammenti di Abeta, sia nella fase precoce che nella fase conclamata di Alzheimer. Sebbene sia necessario condurre ulteriori studi per validare questi risultati, il metodo potrebbe rappresentare un potenziale strumento per la stratificazione dei pazienti e il monitoraggio della terapia, in particolare in soggetti in trattamento con farmaci anti-Abeta come appunto aducanumab. «In questo studio sono state identificate e quantificate forme di Abeta mai descritte in precedenza», spiega Luisa Benussi del Laboratorio di marcatori molecolari del Fatebenefratelli. Forme che potrebbero rappresentare potenziali nuovi target terapeutici per nuovi farmaci.