Da tempo i pazienti affetti da sordità profonda hanno a disposizione quello che i giornali hanno battezzato “orecchio bionico”: un sistema in grado di convertire i suoni in impulsi elettrici che stimolano la corteccia uditiva consentendo loro di ascoltare di nuovo. Con gli occhi li percorso è ancora lungo: «La retina è una delle strutture più complesse del nostro organismo», mi ha spiegato in un’intervista Alessandro Monfardini, oftalmologo presso la Fondazione Poliambulanza di Brescia. È quindi ancora difficile poterne riprodurre il funzionamento artificialmente. 

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I prototipi di retina artificiale

A oggi sono stati impiantati al mondo soltanto una decina di “occhi bionici” su pazienti affetti da retinite pigmentosa che avevano perso la vista: «La retina artificiale funziona come un microchip, simile a quello di una macchina fotografica digitale, che viene impiantato sotto la retina». I risultati però non sono ancora incoraggianti: «La risoluzione dell’immagine è piuttosto ridotta e i costi elevati. Per questo il suo impiego è ancora limitato». Uno studio italiano, nato dalla collaborazione tra i ricercatori dell’Istituto italiano di tecnologia di Genova e Milano e la Clinica oculistica dell’ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar (Verona), ha invece messo a punto una retina artificiale liquida contenente nanoparticelle che convertono gli impulsi luminosi in un segnale bioelettrico che a sua volta stimola le cellule cerebrali.

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Nuove speranze dalle terapie geniche

«Va detto però», aggiunge l’oculista, «che nel trattamento di alcune patologie degenerative della retina sono anche in fase di sperimentazione terapie geniche per scongiurare la cecità». La prima applicazione in oftalmologia è stata per la cura dell’amaurosi congenita di Leber, una grave patologia ereditaria: due genitori portatori sani hanno il 25 per cento di probabilità di trasmettere la malattia ai figli a ogni gravidanza. I risultati delle sperimentazioni di terapia genica sulle patologie retiniche come questa stanno gettando le basi per la loro applicazione anche per nell’ambito delle degenerazioni retiniche più comuni come la maculopatia senile. Se questi progressi dovessero realmente prendere piede, dunque, la ricerca sulle tecnologie per mettere a punto un occhio artificiale potrebbe quindi passere in secondo piano.