Ogni anno nei Paesi dell’Unione europea si registrano circa 33mila decessi causati da batteri divenuti resistenti agli antibiotici: quasi un terzo, oltre 10mila, riguardano l’Italia dove la resistenza agli antibiotici, secondo dati Aifa, si mantiene tra le più elevate in Europa. Con il termine antibiotico-resistenza ci si riferisce proprio al fenomeno per cui alcuni batteri acquisiscono la capacità di resistere all’azione di uno o più farmaci antibiotici e quindi di sopravvivere e moltiplicarsi anche in loro presenza. Negli ultimi anni molti principi attivi sono divenuti meno efficaci o non funzionano più a causa dell’uso non del tutto appropriato che se ne è fatto nel corso del tempo. In particolare ad aver accelerato il fenomeno è l’abuso di alcuni antibiotici, talvolta prescritti senza ragione dai medici oppure, più frequentemente, impiegati in modo del tutto scriteriato dai pazienti.

Colliri antibiotici, come si usano

Il problema è oggi oggetto di discussione a riguardo di molte specialità mediche. Poco se ne parla invece in oftalmologia e in relazione alle patologie oculari, contro le quali l’utilizzo di antibiotici è molto diffuso. Uno studio pubblicato recentemente e condotto su pazienti trattati all’Ospedale oftalmico di Torino tra il 1988 e il 2017 ha evidenziato un trend di resistenza in crescita verso diverse classi di antibiotici usati in oftalmologia. Lo testimoniano anche i dati di una survey condotta da DoT Tech per Théa Farma su 150 oftalmologi italiani: l’indagine, realizzata nel periodo novembre-dicembre 2020, ha mostrato come per il 60 per cento degli specialisti coinvolti l’antibiotico resistenza sia un problema rilevante nella pratica clinica soprattutto in presenza di congiuntiviti, le infezioni della superficie oculare con una maggior incidenza di resistenza batterica, ma anche di cheratiti e di blefariti. «Le congiuntiviti sono trattate con colliri a base di antibiotici, ma spesso la terapia non è seguita nella maniera corretta così che spesso si generano resistenze», ha spiegato Luca Rossetti, direttore della Clinica oculistica all’Ospedale San Paolo di Milano.

L’impiego di antibiotici oculari

La regola fondamentale per trattare un’infezione oculare è prima di tutto quella di comprenderne la natura: «Occorre capire se abbiamo di fronte una forma batterica, da trattare con un antibiotico a dosi piene, una forma virale oppure un’allergia, che non dovrebbe essere curata con questi farmaci», aggiunge Vincenzo Orfeo, responsabile dell’Unità operativa di oculistica della Clinica Mediterranea di Napoli e segretario dell’Associazione italiana chirurgia della cataratta e refrattiva. «Poi bisogna pensare al percorso più adatto, utilizzando antibiotici che, come emerge dalla letteratura, non devono essere impiegati a livello sistemico ma solo locale». Serve inoltre individuare il dosaggio giusto per un periodo di tempo corretto: «L’impiego di bassi dosaggi per lunghi periodi», prosegue Rossetti, «non solo non cura l’infezione ma genera nel tempo delle colonie batteriche resistenti». In presenza di congiuntiviti che si susseguono in tempi rapidi può essere necessario pertanto ricorrere a un tampone congiuntivale per definire con esattezza l’agente microbico e impostare una terapia mirata.

Diabete e occhio, manca prevenzione

Iniezioni intravitreali e antibiotici

Secondo i dati della survey DoT Tech il 98 per cento dei clinici, considerando la propria casistica degli ultimi sei mesi di attività, ha riferito fenomeni di antibiotico-resistenza in un range di pazienti compreso tra il 10 e 30 per cento, cioè circa 50-100mila pazienti l’anno. Il fenomeno è particolarmente evidente nei pazienti affetti da gravi patologie degenerative della retina che richiedono l’uso di farmaci iniettati all’interno del bulbo oculare: un editoriale dell’American Academy of Ophthalmology ha dimostrato infatti come chi esegue molte iniezioni intravitreali, di protocollo sottoposto a molte profilassi antibiotiche, sviluppa più facilmente resistenza verso i principi attivi impiegati.

Maculopatie senili, giocare d’anticipo