A quasi due anni dai primi casi di infezione da SARS-CoV-2 emerge oggi l’evidenza che i disturbi extrapolmonari che accompagnano il Covid-19 permangono ben oltre la negativizzazione in un numero non irrilevante di casi. Ciò ha portato alla definizione di una condizione nuova, definita long-Covid, il cui impatto sociale è sempre più importante. Secondo l’Istituto superiore di sanità, che a luglio 2021 ha pubblicato le Indicazioni ad interim sui principi di gestione del Long-Covid, con questo termine si identificano due condizioni: da un lato la malattia Covid-19 sintomatica persistente con segni e sintomi di durata compresa tra 4 e 12 settimane dopo l’evento acuto, dall’altro la sindrome post-Covid-19 caratterizzata da segni e sintomi che si sono sviluppati durante o dopo un’infezione da SARS-CoV-2 presenti per più di 12 settimane dopo l’evento acuto e non spiegabili con diagnosi alternative.
Grande variabilità di manifestazioni
Proprio come le manifestazioni dell’infezione in corso, che sono anche extrarespiratorie e multiorgano, anche quelle del long-Covid sono diversificate. «Sono molto variabili», si legge nel report dell’Iss, «e a oggi non esiste un consenso sulle loro caratteristiche. Possono presentarsi sia singolarmente che in diverse combinazioni. Possono essere transitorie o intermittenti e possono cambiare la loro natura nel tempo, oppure possono essere costanti». Di certo però i meccanismi mediante i quali l’infezione determina il long-Covid non sono stati ancora completamente definiti.
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Eziopatogenesi: due possibile vie
Ma cosa esattamente produce i sintomi long-Covid anche ben oltre la negativizzazione? In questo senso le ipotesi sono ancora molte, ed è l’Istituto superiore di sanità a spiegarlo nelle sue Indicazioni: «Ci sono crescenti evidenze che supportano l’ipotesi di una genesi da danno d’organo diretto causato dal virus, ma potrebbe anche essere coinvolta una risposta immunitaria innata con rilascio di citochine infiammatorie». In pratica, due possibili veicoli: da un lato è il virus stesso che, dall’apparato respiratorio, è in grado di migrare causando danni d’organo di diverso tipo. Tuttavia è anche l’infiammazione prodotta dall’infezione a poter dar luogo ai sintomi attraverso un’azione di autoimmunità: è infatti noto che il SARS-CoV-2 è capace di scatenare “tempeste citochiniche” alterando i parametri dell’infiammazione sistemica con danni su diversi organi e tessuti.
Dinamiche in parte già note
Questa dinamica in realtà non è nuova, per la scienza: «Molti virus possono dar luogo a sintomi successivi alla guarigione», mi ha spiegato Sandro Iannaccone, responsabile dell’Unità di riabilitazione disturbi neurologici cognitivi-motori dell’Ospedale San Raffaele di Milano. «Alcune malattie parainfettive possono persino essere più gravi dell’infezione che le ha generate: è quello che succede con la sindrome di Guillain-Barré». Questa polineuropatia infiammatoria acuta, generalmente autolimitante, provoca forme di paralisi spesso conseguenze di banali infezioni virali: anche in questo caso sembra esiste, alla base, una reazione autoimmune. Del resto la capacità del SARS-CoV-2 di causare danni a diversi organi era già stata evidenziata con altri virus SARS e MERS: «Sicuramente però la varietà dei sintomi post-infettivi del long-Covid è una novità», aggiunge il medico.
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Il virus nel tronco encefalico
Il danno diretto del SARS-CoV-2 ai diversi organi e tessuti oltre ai polmoni sembra invece essere connesso alla capacità del virus di migrare dall’albero respiratorio verso altri distretti dando luogo a danni d’organo che permangono oltre la negativizzazione. «Anche questa capacità di movimento lungo i fasci nervoso è tipica dei Coronavirus», mi ha detto Tommaso Bocci, ricercatore della Clinica neurologica presso l’Università di Milano. «Ciò è stato ben dimostrato su modelli animali, dove questi virus sono causa di danni gastrointestinali a causa del loro tropismo». Questo spiegherebbe il motivo della rilevante sintomatologia neurologica del long-Covid: il SARS-CoV-2 può giungere infatti fino al tronco encefalico. La presenza del virus in questa sede è stata infatti accettata in sede autoptica.
L’epidemiologia del long-Covid. Sicuramente colpiscono i dati epidemiologici. Sandro Iannaccone mi spiega: «Circa il 15-20 per cento dei pazienti Covid ha una sintomatologia che continua a manifestarsi per mesi dopo l’infezione. Ma si tratta di una media: tra chi ha subito un ricovero ospedaliero si evidenzia una maggiore prevalenza di long-Covid».
L’articolo completo su Farmacia News, novembre 2021