Un manifesto per accendere i riflettori sul lupus eritematoso sistemico e migliorare la presa in carico e cura delle persone che ne sono affette: rivolta alle istituzioni sanitarie, è l’iniziativa promossa dal Gruppo Les Italiano Odv, l’associazione di pazienti più rappresentativa per questa patologia in Italia. Nel documento si trovano cinque raccomandazioni per sollecitare risposte concrete agli oltre 60mila italiani colpiti dal lupus, per il 90 per cento donne con un’incidenza tra i 20-45 anni, che ogni giorno vivono sulla propria pelle i disagi di una malattia cronica autoimmune, complessa e invalidante, ma ancora poco visibile, contrassegnata da ritardi e disomogeneità assistenziali.
Una malattia multiorgano
Il lupus è una malattia autoimmune a carattere sistemico dovuta a un’attivazione incontrollata del sistema immunitario che può causare danni di tipo infiammatorio a carico di tessuti e organi tra cui pelle, articolazioni, reni, cuore, polmoni e cervello con danni che vanno da eritemi, afte, polmoniti e pleuriti, disturbi della coagulazione, endocarditi, miocarditi e molto altro. Non a caso è soprannominata il “grande mimo” proprio per la capacità di coinvolgere diversi organi e di presentarsi con una grande varietà di manifestazioni cliniche che rendono molto difficoltosa una corretta diagnosi. «Quando si scopre di avere il lupus», spiega Rosa Pelissero, presidente del Gruppo Les, «la vita va completamente riprogettata. Le pazienti, colpite nel periodo della massima espressione lavorativa, sociale e familiare, devono fare i conti con una patologia poco conosciuta e lottano contro una sensazione di forte isolamento».
Cosa ne sanno i medici di base
Tra le priorità ci sono un maggiore coinvolgimento dei medici di medicina generale per arrivare a diagnosi corrette nel più breve tempo possibile, il diritto all’accesso alle terapie innovative e una presenza omogenea dei centri di riferimento sul territorio nazionale. «Oggi abbiamo a disposizione numerose armi per curare il lupus», spiega Marcello Govoni, direttore della reumatologia presso l’Arcispedale Sant’Anna di Ferrara, «ma di fondamentale importanza resta la diagnosi precoce per poter curare il paziente nelle fasi iniziali della malattia e per meglio prevenire il danno d’organo».
Le terapie non mancano
Purtroppo però ancora oggi i pazienti arrivano dal reumatologo con un ritardo medio tra uno e due anni dall’esordio della malattia: «Il ritardo diagnostico ha un impatto negativo sulla prognosi, in quanto la diagnosi precoce consente di instaurare tempestivamente il trattamento farmacologico, evitando danni agli organi interessati», aggiunge Gian Domenico Sebastiani, direttore della reumatologia presso l’azienda ospedaliera San Camillo-Forlanini di Roma. Peraltro, trattandosi di una malattia multiorgano le persone affette da lupus hanno esigenze complesse e specifiche rispetto a chi soffre di altre patologie reumatologiche.
Il ruolo della medicina di territorio
Ciò di cui hanno bisogno i pazienti è dunque poter contare su medici di medicina generale capaci di riconoscere tempestivamente i sintomi di allarme, ma anche di esperti sul territorio che facciano da cerniera tra i medici di famiglia e i centri specialistici. Ma ciò richiede anche l’organizzazione di una presa in carico multidisciplinare e la necessità di aumentare l’informazione tra i cittadini e il personale sanitario.