Spossatezza, affanno e svenimenti sono alcuni dei sintomi di una malattia rara e ben poco nota che colpisce i vasi sanguigni dei polmoni: si tratta dell’ipertensione arteriosa polmonare. «Questa patologia colpisce circa 60 persone su un milione, di tutte le classi di età, con una predominanza quasi doppia di casi nella donna», ha spiegato Nazzareno Galiè, direttore della Cardiologia al Policlinico S. Orsola di Bologna, nel corso di un convegno organizzato lo scorso 7 settembre a Milano da Janssen Italia. «I dati dei registri internazionali indicano in media un rapporto di 1,9 donne colpite per ogni uomo e si stima che, in Italia, i malati siano circa 3mila».

Cos’è l’ipertensione polmonare?

A caratterizzare la patologia è un’aumentata pressione sanguigna nel circolo polmonare, che porta a un progressivo sovraccarico di lavoro per il ventricolo destro del cuore e può culminare nello scompenso cardiaco e nella morte prematura in assenza di trattamenti adeguati. «La condizione può comparire senza cause note, e si definisce in questo caso idiopatica», prosegue il medico. Talvolta può essere associata ad altre malattie, come alcune cardiopatie congenite e malattie autoimmuni come la sclerodermia o il lupus eritematoso sistemico.

Nuove terapie ma molti ostacoli…

Fino a pochi anni fa, le terapie disponibili per l’ipertensione arteriosa polmonare erano scarsamente efficaci e, nei casi più avanzati, l’unica soluzione era il trapianto dei polmoni o, molto raramente, di cuore e polmoni. Ad oggi sono stati fatti progressi importanti, tanto che le terapie mediche consentono di migliorare notevolmente la qualità di vita dei pazienti riducendo il ricorso al trapianto. «Il vero problema è che la malattia è molto poco conosciuta anche dai medici», ha spiegato Leonardo Radicchi, presidente dell’Associazione ipertensione polmonare italiana (Aipi). «Questo porta da un lato a difficoltà e ritardi nella diagnosi e dall’altro al fatto che spesso i pazienti si rivolgono al medico quando la malattia è già in fase avanzata». Va rilevato inoltre come siano relativamente pochi i centri medici con le competenze specifiche e l’esperienza clinica necessaria, tanto che molti pazienti si trovano a dover intraprendere lunghi viaggi per raggiungere centri fuori regione.