In tempi di Coronavirus il tema della gestione di situazioni sanitarie di crisi è ovviamente di grande attualità. In questo post, un abstract di un mio pezzo uscito su Airone ad aprile 2018, parlavo degli aspetti psicologici della gestione di emergenze con specifico riferimento a quelle mediche. Proprio in questo ambito è ormai chiaro quanto le donne in particolar modo stanno diventando centrali: in Italia è sempre più spesso di sesso femminile una parte numericamente molto rilevante del personale dei reparti di pronto soccorso ma anche di quelli – oggi quasi allo stremo – di rianimazione e terapia intensiva.

Interventi di emergenza in caso di terremoti o incidenti stradali, operazioni di soccorso in alta montagna e in mare aperto: chi si dedica all’emergenza – medici, infermieri, civili e militari – deve imparare a gestire al meglio lo stress. Su questo tema ho raccolto la testimonianza di Giusy Zatti, infermiera peer supporter del 118 di Brescia, che mi ha parlato di un intervento emotivamente molto difficile: il salvataggio di una ragazzina in arresto cardiocircolatorio, recuperata dopo aver rischiato l’annegamento in un fiume. «Io e la mia équipe», dice, «abbiamo dovuto operare in un luogo pubblico dove erano presenti anche i genitori e le amiche della vittima. La difficoltà era quella di estraniarci dalle urla di disperazione che ci circondavano». In quanto responsabile del team di soccorso, Zatti si sentiva addosso più che mai l’esito dell’intervento. «Per risolvere l’impasse ho aumentato la concentrazione anche se, una volta tornata a casa, il mio pensiero era ancora sul luogo del soccorso. Ci sono voluti alcuni giorni per prendere le distanze».

Donne, abituate a gestire le emergenze

C’è un dato che stupisce positivamente: le persone che come Giusy lavorano in emergenza sono sempre più spesso donne. Del resto uno studio dall’Università di Glasgow e dall’Università dell’Hertfordshire (Regno Unito) mostrò tempo fa che le donne sono più rapide e pronte degli uomini nel passare da un’attività a un’altra, in particolare se sotto pressione. Dai dati della Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e odontoiatri emerge come la professione del medico sia sempre più in rosa: sono oramai quasi 176mila le donne iscritte all’albo, la maggioranza tra chi ha meno di cinquant’anni. Tra le specialità più scelte dal sesso femminile c’è anestesia e rianimazione, quella che maggiormente espone allo stress dell’emergenza.

Chi aiuta chi aiuta?

E se la ragione di questa superiorità femminile fosse anche una maggiore predisposizione all’empatia? Probabilmente non è così. Anche perché, quando siamo di fronte a emergenze, l’empatia non è di grande aiuto. Quando si lascia prendere dall’emotività, infatti, il soccorritore può rischiare la cosiddetta compassion fatigue. La psicologia fornisce strumenti di gestione delle emozioni per evitare questa condizione di sfinimento, causa di ansia e depressione in chi svolge professioni di emergenza. «Conoscere bene la tecnica consente molto spesso di mantenere la calma anche in situazioni difficili», mi ha spiegato Germaine Roulet, da anni nel campo della psicologia dell’emergenza in Valle d’Aosta e autrice di Soccorritore e vittima. Gli aspetti psicologici nello spazio relazionale (Franco Angeli). «Dopo il soccorso è però importantissimo prendersi del tempo per elaborare le proprie esperienze, magari adottando tecniche di rilassamento».

Preparazione psicologica allo stress

Per questo accanto alla preparazione tecnica i soccorritori devono poter contare su una formazione psicologica nella gestione dello stress: «Svolgiamo attività di sensibilizzazione degli operatori a riconoscere precocemente in se stessi e nei colleghi gli indicatori di stress eccessivo», mi ha detto Rita Fioravanzo, direttrice dell’Istituto europeo di psicotraumatologia e stress management che da tempo affianca i soccorritori dell’Azienda regionale emergenza urgenza (Areu), ovvero il 118 della Lombardia. Quando questo non basta i soccorritori “in crisi” sono aiutati dai loro stessi colleghi, opportunamente formati, oppure da psicologi delle emergenze.