1. Quanto pensieri facciamo?

Settantamila. La stima, ipotizzata dagli scienziati dell’Università di Washington (Usa) e riferita a un uomo adulto, deriva da un dato fisico: la velocità con cui i singoli segnali elettrici viaggiano lungo la corteccia cerebrale, che può raggiungere i 120 metri al secondo. Il primo, però, è un dato ipotetico: è già dall’Ottocento infatti che si cerca di misurare la velocità del cervello e dei pensieri, senza però che i risultati siano pienamente condivisi dagli scienziati. Spiega infatti Thierry Hasbroucq del laboratorio di neurologia cognitiva all’Università Aix-Marseille (Francia): «Non mancano le difficoltà concettuali, quando si considerano i pensieri come isolabili gli uni dagli altri». Tuttavia le misure dei tempi di reazione di ogni cervello agli stimoli esterni rappresentano ancora oggi una base per diverse ricerche su morbo di Alzheimer, depressione e schizofrenia.

2. Si può vivere con un solo emisfero?

In teoria sì. È raro, ma due condizioni possono portare alla perdita di funzionalità di un solo emisfero: l’ictus e il trauma cranico grave. Caratteristica del cervello (almeno nei giovani) è infatti la plasticità, cioè la capacità delle aree sopravvissute di farsi carico delle funzioni cui erano destinate parti del cervello soggette a danno. Potenzialmente è quindi possibile fare a meno di un emisfero, anche se con qualche conseguenza: la perdita della vista dall’occhio opposto all’emisfero danneggiato (ogni emisfero controlla la parte di corpo speculare) e la funzionalità dell’arto opposto. «Quanto alle funzioni superiori, come linguaggio, memoria e funzioni esecutive», spiegano Nathalie Villeneuve e Didier Scavarda del dipartimento di neurochirurgia pediatrica dell’ospedale Henri-Gastaut di Marsiglia, «i disturbi sono diversi a seconda che l’emisfero colpito sia quello dominante o meno». In altre parole, più difficile è la ripresa per i mancini se l’emisfero colpito è il destro e vice versa.

3. Quanto “consuma” il cervello?

Quando siamo svegli la potenza elettrica del cervello è di non più di 24 watt, praticamente quella di una vecchia lampadina a incandescenza di bassa potenza. Eppure per funzionare richiede circa il 20 per cento dell’ossigeno dell’organismo e brucia il 25 per cento delle calorie introdotte con l’alimentazione. L’energia consumata è impiegata in particolare per garantire le connessioni tra le cellule nervose, assicurate dai loro prolungamenti chiamati assoni e dendriti. «Certo parliamo di una potenza complessiva», spiega Jean-Michel Badier dell’unità epilessia e cognizione dell’Università Aix-Marseille (Francia): «Le correnti elettriche sono infatti distribuite in tutto il cervello».

4. Lo usiamo solo per il 10 per cento?

No: è un mito della psicologia popolare. Diverse le ragioni per smentirlo. Sappiamo ad esempio che quest’organo è quello che consuma più energia del nostro corpo: «Se il 90 per cento fosse inutile, perché la natura obbligherebbe a dilapidare energie in questo modo?», si interroga Bruno Poucet del laboratorio di neurobiologia cognitiva all’Università Aix-Marseille (Francia). Inoltre le moderne tecnologie permettono di visualizzare le aree cerebrali attivate quando il cervello lavora o riposa. Cosa se ne deduce? «Che tutte le regioni collaborano per integrare le nostre esperienze vissute, permettendoci così di rispondere in modo efficace alle situazioni nuove». Non solo: le regioni cerebrali inutilizzate a causa di lesioni tendono ad atrofizzarsi. Ma il 90 per cento del cervello non è per nulla atrofizzato, quindi l’ipotesi è doppiamente da smentire.

5. Si può smettere di pensare?

No. Provateci: sdraiatevi in silenzio e non pensate a niente. Ci riuscite? Probabilmente no: cercando di farlo starete pensando… di non pensare! «Se misuriamo l’elettroencefalogramma di un soggetto che “non pensa a niente” noteremo infatti che il suo cervello ha un’attività elettrica incessante», spiegano Christian Bénar, Maxime Guye e Viktor Jirsa dell’unità epilessia e cognizione, del Centro di risonanza magnetica biologica e medica e dell’Istituto di scienze del movimento Étienne-Jules-Marey dell’Université Aix-Marseille (Francia). Perfino quando non facciamo nulla è in azione il cosiddetto ritmo alfa, un’oscillazione elettrica osservata già nel 1929 dal neurologo tedesco Hans Berger che si manifesta quando abbiamo gli occhi chiusi. Questa attività di stand by, di cui non si conosce precisamente la funzione, è inversamente proporzionale alle attività cerebrali coinvolte nelle azioni che richiedono attenzione e concentrazione verso il mondo esterno: più una aumenta più l’altra si riduce.