Una malattia autoimmune e multiorgano che in Italia colpisce circa 25mila persone ed è caratterizzata da una progressiva occlusione dei piccoli vasi sanguigni e da fibrosi a carico della pelle e dei tessuti connettivi degli organi interni. La sclerodermia, malattia rara e orfana, è una condizione complessa, contro la quale non esistono cure definitive ma soltanto alcune terapie rivolte a limitare i danni ad alcuni degli organi colpiti. A causare la fibrosi è la continua aggressione dei tessuti da parte del sistema immunitario e la loro successiva cicatrizzazione, che diventa cronica e disfunzionale. Il sintomo più precoce è rappresentato dal fenomeno di Raynaud (foto), che consiste nel cambiamento di colore delle dita delle mani: ciò è prodotto dalla diminuzione del flusso sanguigno ai tessuti.

Costi sanitari elevatissimi

Un’interrogazione parlamentare presentata dall’onorevole Fabiola Bologna, relatrice del Testo unificato per le malattie rare, porta all’attenzione delle istituzioni gli unmet need associati alla patologia, per la quale ancora manca omogeneità nella presa in carico a livello nazionale. La sclerodermia ha una prevalenza stimata in Italia di 33,9 casi per 100mila abitanti e a essere colpite sono soprattutto le donne tra i 30 e i 50 anni.

Il peso dell’interstiziopatia polmonare

La malattia è infatti severa in quanto può compromettere le funzioni fondamentali di polmoni, cuore, intestino e rene, invalidando la qualità della vita dei pazienti. In particolare l’interstiziopatia polmonare è la prima causa di morte nei soggetti con sclerodermia: l’interessamento polmonare è infatti responsabile del 35 per cento dei decessi correlati alla patologia. Questo spiega perché, nonostante la bassa frequenza, ha un impatto economico importante in termini di costi sanitari (in Italia ha un costo medio annuo per paziente pari a 11.074 euro) e di perdita di produttività.

L’interessamento multiorgano

La diagnosi precoce è quindi fondamentale per giungere a una presa in carico tempestiva e a una corretta gestione clinica. Cruciale a questo scopo il coinvolgimento di un team multidisciplinare, fondato sulla sinergia tra reumatologo, pneumologo e altre figure specialistiche. «Sono stati fatti grandi passi avanti in questa direzione, nel corso degli ultimi 10-15 anni», spiega Marco Matucci Cerinic, ordinario di reumatologia all’Università di Firenze, «e possiamo affermare che la multidisciplinarietà è oggi una realtà nei centri di riferimento, con colleghi di altre specialità che coadiuvano i reumatologi nella valutazione clinica dei pazienti e nella decisione terapeutica». Qualcosa però manca ancora: «C’è bisogno però di un’organizzazione strutturale del territorio con i centri di primo e secondo livello, e questo è oggi di piena competenza delle regioni».

Fare rete: ecco ciò che manca

È proprio l’organizzazione territoriale a essere carente: i pazienti sono infatti gravati da ritardi diagnostici importanti legata anche a una gestione della malattia non omogenea sul territorio nazionale. «Occorre identificare, sulla base di criteri oggettivi, centri di eccellenza che possano diventare punti di riferimento per la diagnosi e la cura dei pazienti», ha spiegato Ilaria Galetti, vicepresidente del Gruppo italiano per la lotta alla sclerodermia, «così come per la formazione degli operatori sanitari e delle figure assistenziali. Inoltre non deve venire meno il sostegno alla ricerca, anche attraverso forme di partenariato tra i diversi attori del sistema salute». A questo scopo, spiegano i soggetti interessati, servirebbe una migliore partnership tra pubblico e privato, con la creazione di reti che coinvolgano istituzioni, clinici, pazienti e imprese a supporto di una migliore qualità dell’assistenza.

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