Lo stress ormai ci perseguita: capita quando non riusciamo più a recuperare il nostro equilibrio, quando sentiamo di aver perso il controllo della vita. Ed è tanto peggiore quanto più diventa un problema costante: «Lo stress più dannoso è quello cronico», mi ha spiegato Daniela Lucini, direttore della Scuola di specializzazione in medicina dello sport ed esercizio fisico dell’Università degli studi di Milano. «Questo avviene quando le condizioni che lo causano sono permanenti e con esse la nostra reazione di iperattivazione. Ma lo stress è pericoloso anche in un’altra condizione: quando tanti eventi avversi capitano tutti insieme».
Uomini e zebre…
Con conseguenze sulla salute fisica, oltre che mentale: lo chiarisce anche il neuroscienziato Robert Sapolsky in Perché alle zebre non viene l’ulcera? (Castelvecchi) in cui spiega come di fronte allo stress il nostro organismo attivi le stesse risposte fisiologiche degli animali di fronte a una preda, senza però essere in grado di disattivarle rapidamente quando la situazione di allarme si è conclusa. È quel che succede quando ad esempio siamo costretti ad affrontare contemporaneamente un licenziamento, problemi in famiglia o in coppia e difficoltà economiche.
Lo stress da pandemia
Da un anno a questa parte molte più persone vivono questa situazione, come spiego sul numero di febbraio di Airone: la pandemia da Covid-19 ha aggiunto una fonte di stress a quelle già presenti. Non si contano gli studi che lo hanno dimostrato: uno condotto dall’Università di Torino su 1321 soggetti e pubblicato sulla rivista The Canadian Journal of Psychiatry ha rilevato ad esempio un’elevata percentuale di individui con sintomi clinicamente rilevanti di ansia (69 per cento), di depressione (31) e di stress post-traumatico (20). Tra i soggetti più a rischio ci sono le donne: da una revisione di studi su questi temi, condotta all’Università di Cambridge (Regno Unito), è emerso infatti che per loro il rischio di soffrire di disturbi connessi allo stress è doppio rispetto agli uomini. Le cause vanno ricercate nelle fluttuazioni ormonali in età fertile che possono incrementare una risposta sfavorevole agli eventi e nella maggiore tendenza alla ruminazione, cioè all’attivazione di pensieri continui e ossessivi su situazioni spiacevoli.
Lo smartworking, fonte di ansia
Queste dinamiche erano già evidenti a inizio pandemia: le rilevava uno studio congiunto dell’Università di Tor Vergata (Roma) e di quella dell’Aquila condotto su 18mila soggetti. «Quella che stiamo vivendo», spiegava Giorgio Di Lorenzo, psichiatra presso l’ateneo romano, «è paragonabile a una situazione di guerra». Questo stress ha a che fare con la percezione di fragilità e impotenza davanti al possibile contagio. Certo, in molti casi queste comprensibili paure sfociano in un’irrazionale angoscia: un colpo di tosse può allora sconvolgerci. L’ipocondria è l’esempio massimo di come lo stress non sia sempre legato a un problema reale, ma alla nostra interpretazione (spesso scorretta) di segnali esterni. Ma è sempre capitato, anche in tempi pre-Covid: secondo un’indagine sulla salute nell’era digitale commissionata nel 2018 dalla compagnia assicurativa Bnp Paribas Cardif erano già allora ben 9 milioni gli italiani maggiorenni che mostrano un atteggiamento ossessivo verso la propria salute fisica.
Ma adesso ci sono anche altri stress
A distanza di un anno dallo scoppio della pandemia lo stress sta cambiando forme: «Oggi oltre a quella della malattia», prosegue Lucini, «per molti ci sono la paura della solitudine e lo stress da smartworking». Come racconto qui, un recente sondaggio condotto da Atomik Research su mille impiegati in Italia che hanno lavorato da casa per almeno quattro mesi a causa della pandemia ha illustrato come quasi la metà degli intervistati affermi di sentirsi stressato mentre il 36 per cento di sentirsi isolato e stanco. «Il cosiddetto lavoro agile sta sconvolgendo la vita privata, sta incrementando i problemi di lavoro e sta danneggiando gli equilibri psichici e familiari». Occorrerà quindi quanto prima trovare un equilibrio almeno da questo punto di vista per prevenire danni psicologici, sulla salute ma anche sulle relazioni interpersonali.