Oscilla tra i 4mila e i 5mila casi il bilancio annuale di donne colpite da tu more ovarico. Si tratta soprattutto di donne oltre i sessant’anni. «Purtroppo nell’80 per cento dei casi la malattia è scoperta tardivamente», mi ha spiegato Sandro Pignata, direttore dell’Unità operativa di oncologia medica uroginecologica all’Istituto dei tumori di Napoli, in un articolo su BenEssere di luglio 2018 a margine di un’intervista a una paziente che ha combattuto contro questa malattia. Il tumore dell’ovaio non dà infatti segni di sé, se non sintomi aspecifici, fino a quando non ha raggiunto dimensioni notevoli. Dopo la diagnosi per mezzo di ecografie, tac o risonanza magnetica l’intervento chirurgico è d’obbligo, seguito dalla chemioterapia accompagnata spesso da farmaci biologici o immunoterapici. «Non esiste una prevenzione specifica, se non per quel 15 per cento di pazienti la cui malattia è legata a una mutazione genetica: in questo caso la stessa alterazione va ricercata anche nei membri della famiglia per estendere indagini preventive». Se il tumore è individuato ai primi stadi la possibilità di guarigione arriva all’80 per cento circa, altrimenti la sopravvivenza a cinque anni tocca solo il 30-35 per cento.
Quanto conta il supporto
«Fino a qualche tempo fa non volevo parlare del tumore», mi ha spiegato la paziente intervistata. A cambiarla fu una paziente conosciuta in Acto, associazione che si batte per far conoscere questa malattia. Solo così iniziò a capire l’importanza di non nascondersi: «Ricordo con affetto quelle riunioni improvvisate in un bar di Milano», mi ha raccontato. Quelle amicizie le sono restate nel cuore come il più bel dono che una malattia le potesse fare. Con questo spirito Acto si impegna nell’ascolto delle pazienti grazie anche a Pronto Acto, una linea telefonica per le donne che hanno bisogno di supporto. Dall’altra parte rispondono l’avvocato Enza Patierno (venerdì dalle 16 alle 19, tel. 349.7932996) e la psiconcologa Valentina Padolecchia (martedì dalle 9 alle 12, tel. 347.9901271).