Salire le scale è uno sforzo enorme, per una fetta di popolazione che oggi si attesta attorno al 7 per cento: la mancanza di respiro costituisce un ostacolo, infatti, per chi è affetto da brocnopneumopatia cronica ostruttiva (Bpco), una malattia in cui la diagnosi precoce rappresenta un fattore chiave. Me lo ha spiegato tempo fa in un’intervista Stefano Centanni, direttore della Unità operativa di pneumologia dell’Azienda ospedaliera San Paolo di Milano: «L’80 per cento dei pazienti con Bpco sono o sono stati fumatori. Purtroppo però chi fuma è abituato ad avere “fiato corto”, tosse e catarro, e così tarda a farsi visitare». Anche perché sa bene che il medico gli suggerirebbe di buttar via le sigarette: una verità che generalmente non vuole sentire. «Questa è una patologia purtroppo anche mortale contro la quale la prevenzione può fare molto», dice lo pneumologo.

Opzioni terapeutiche individuali

I sintomi della Bpco nascondono un’infiammazione cronica dei bronchi e dei bronchioli con tosse e catarro correlata a un’ostruzione delle vie respiratorie. Smettere di fumare è quindi importante, ma servono anche i farmaci: broncodilatatori assunti sotto forma di inalazioni, come il bromuro di aclidinio e il formoterolo fumarato oggi disponibili in diverse formulazioni e con device per una facile somministrazione, rappresentano insieme agli antifiammatori, steroidei e non, un’àncora di salvezza: «Si tratta di terapie croniche, quindi è necessaria l’aderenza terapeutica da parte del paziente». Solo così si possono prevenire le patologie associate, come l’enfisema polmonare.

Può colpire anche i giovani

La sensibilizzazione alla patologia è un altro punto chiave: «Un’indagine Doxa tempo fa aveva rilevato come solo 14 italiani su 100 avevano mai sentito nominare la Bpco». Accanto alle terapie che oggi danno respiro – in tutti i sensi – ai malati, il grande impegno delle istituzioni e della classe medica deve andare nella direzione della disincentivazione alla prima sigaretta. Nella maggior parte dei casi si comincia a fumare già durante l’adolescenza: «L’influenza della famiglia ma soprattutto dei coetanei è decisiva», ha detto in un’intervista Marco Alloisio, chirurgo toracico agli Istituti clinici Humanitas di Rozzano (Milano) e presidente della sezione di Milano della Lega italiana per la lotta contro i tumori. Il fumo rappresenta infatti una modalità di ostentare sicurezza, nei contesti sociali: lo aveva dimostrato nel 2012 uno studio condotto da ricercatori dell’Università della South Florida (Usa). In particolare è possibile che molti adolescenti fumino per aumentare la stima in se stessi migliorando la loro immagine. E su questo bisogna certamente lavorare per creare un’inversione di tendenza.

Un approccio sociale

Del resto la Bpco non colpisce certo solo gli over 60: «Anche un quarantenne, fumatore da dieci anni e con sintomi di bronchite cronica e difficoltà respiratoria, potrebbe esserne affetto», conclude Centanni. Anche perché smettere non è semplice. Secondo la Doxa si abbandona il fumo in genere dopo i quarant’anni e in almeno un caso su tre senza successo, probabilmente perché senza alcun aiuto: «I farmaci che aiutano a smettere», ha spiegato Giovanni Apolone, direttore scientifico dell’Istituto nazionale dei tumori di Milano, «non sono ancora rimborsati dal nostro Sistema sanitario, nonostante le evidenze cliniche». La strada della sensibilizzazione di adulti e giovani, che iniziano a fumare sempre più precocemente, è ancora lunga.