Una malattia complessa, ma che negli ultimi anni ha visto notevoli passi in avanti che hanno migliorato le prospettive di vita per i pazienti. La sclerosi multipla certamente fa ancora paura, ma sicuramente meno di un tempo grazie alle maggiori chance di evitare le conseguenze più gravi in termini di invalidità. Sono questi i principali punti emersi dai numerosi interventi protagonisti della 34esima edizione del congresso Ectrims, che lo scorso ottobre ha riunito a Berlino i più autorevoli nomi della neurologia impegnati nella lotta alla sclerosi multipla. «Ci siamo ritrovati in 12mila esperti a livello mondiale», mi ha detto Carlo Pozzilli, neurologo alla Sapienza e direttore del Centro sclerosi multipla dell’Ospedale Sant’Andrea di Roma. «Già soltanto questo numero dà l’idea del livello di attenzione e del fermento attorno a questa patologia, contro la quale ogni anno sono presentate nuove terapie».
Un nuovo approccio alla patologia
Malattia cronica che colpisce il sistema nervoso centrale causando una vasta gamma di sintomi, la sclerosi multipla è prodotta da un malfunzionamento del sistema immunitario che attacca la guaina mielinica, ovvero il rivestimento che isola le fibre nervose, causandone infiammazione e danni. Sono principalmente due le forme in cui si presenta la patologia, la cui progressione è spesso poco prevedibile: quella a ricadute e remissioni e quella primariamente progressiva, rispettivamente nell’85 per cento e nel 15 per cento dei casi. In Italia sono quasi 118mila le persone colpite e ogni anno si registrano 3.400 nuove diagnosi, quasi una ogni tre ore, nella maggior parte tra giovani di età compresa tra i 20 e i 40 anni con una frequenza due volte superiore nelle donne. L’evento di Berlino ha messo in luce le nuove linee di ricerca e ha rappresentato un’occasione per ribadire, ancora una volta, quanto la diagnosi precoce sia fondamentale nell’efficacia delle terapie. «I farmaci mostrano maggiori potenzialità quando il danno non è ancora esteso e nei pazienti giovani», aggiunge Pozzilli. Le diagnosi tardive sono infatti ancora frequenti, certamente anche a causa di sintomi iniziali talvolta sottovalutati dal paziente e dal medico di base: «Alcuni sono scambiati per problematiche di scarsa rilevanza, magari di interesse ortopedico», prosegue. «I problemi alla vista, non di rado tra i sintomi iniziali, potrebbero essere non valutati correttamente: fortunatamente sempre più oftalmologi in presenza di deficit del visus altrimenti inspiegabili prescrivono risonanze all’encefalo».
Neurofilamenti per la diagnosi. Interessanti prospettive dai marker biologici, che potrebbero rappresentare una nuova strada nella valutazione del danno nervoso e dell’efficacia dei farmaci in affiancamento agli esami tradizionali, primo tra tutti la risonanza magnetica. «Molto spesso infatti a una progressione della malattia non corrisponde un immediato peggioramento clinico», dice il neurologo. Alcuni test di laboratorio come quelli basati sui livelli dei cosiddetti neurofilamenti, strutture presenti nei neuroni, potrebbero consentire presto un monitoraggio più efficace e rapido.
L’articolo completo su Salute in famiglia, febbraio 2019