Una donna su due in menopausa presenta atrofia vulvovaginale. Di queste, un 20-25 per cento in modo moderato o severo. «Parliamo di un’epidemia», mi ha spiegato in un’intervista Rossella Nappi, docente di ostetricia e ginecologia all’Università degli studi di Pavia. «Si tratta di una degenerazione dei tessuti dei genitali femminili provocata dalla carenza di estrogeni ma anche dal naturale processo di invecchiamento». La condizione si inserisce nel ventaglio di sintomi del climaterio, che comprendono anche disturbi neurovegetativi come irritabilità e vampate di calore. «Questi sono presenti nel 75 per cento delle donne, nel 25 per cento dei casi in forma moderata o severa soprattutto in pazienti magre, fumatrici o che sono entrate in menopausa precocemente».
La diagnosi è semplice
Spesso i sintomi della menopausa sono sottovalutati. Tuttavia se vampate e irritabilità frequentemente si riducono con il passare degli anni, l’atrofia vulvovaginale no: «Purtroppo questa condizione non è transitoria, ma anzi tende a peggiorare», aggiunge Nappi. E poi esiste ancora un certo tabù, sul tema: «Le donne non ne parlano con il ginecologo, il quale del resto non chiede», aggiunge la ginecologa. Le ragioni sono diverse: l’imbarazzo a parlare di sesso in età non più giovane e l’erronea convinzione che si tratti di un problema passeggero e meno importante rispetto alle altre problematiche della menopausa. «Eppure da una semplice visita il medico può diagnosticare l’atrofia vulvovaginale». La conseguenza principale di questo disturbo è il dolore durante i rapporti sessuali, che così spesso calano: secondo dati recenti, una coppia su cinque dopo i cinquant’anni interrompe i rapporti con penetrazione.
Terapie non ormonali
Eppure le terapie ci sono, prima tra tutte quella ormonale sostitutiva e poi quelle locali. Se le prime sono ancora oggetto di false credenze circa la loro pericolosità, le seconde sono spesso poco gradite: «Creme e ovuli sono percepiti come fastidiosi e imbarazzanti», continua Nappi. Una soluzione viene dalle terapie sostitutive non ormonali che agiscono sulle cellule responsabili della modulazione ormonale migliorando il trofismo dei tessuti: «Principi attivi come l’ospemifene sono adatti alle donne con storie di tumori, per le quali le terapie ormonali sono vietate, ma non solo». Forti di un’efficacia ormai dimostrata, i rimedi non ormonali sono oggi apprezzati anche da molte altre donne come valido rimedio per prevenire e contrastare l’atrofia vulvovaginale.