Gli anticorpi monoclonali, già noti al pubblico come strumenti innovativi nella terapia delle malattie autoimmuni (e non solo), sono oggi alla base di un nuovo approccio all’emicrania. Questa patologia è caratterizzata da attacchi che durano dalle 4 alle 72 ore, migranti ma di solito localizzati in un solo lato della testa con un dolore pulsante aggravato dalle attività fisiche e spesso associato a nausea, vomito, fastidio ai rumori e alle luci, e colpisce il 14 per cento della popolazione mondiale. In Italia ne soffre il 9 per cento degli uomini e il 18 per cento delle donne, nelle quali gli attacchi sono più severi, più lunghi e più disabilitanti e con più sintomi associati. L’Organizzazione mondiale della sanità classifica l’emicrania, sulla base del Global Burden Disease 2017, al secondo posto tra tutte le malattie che causano disabilità e prima causa di disabilità sotto i cinquant’anni.
Anti-Cgrp e molecole “al bisogno”
Tra le molecole impiegate oggi con successo la più recente è galcanezumab, un anti-Cgrp (calcitonin gene related peptide). Con questa sigla si intende un peptide – la cui scoperta è relativamente recente – correlato al gene della calcitonina, considerato l’interruttore delle crisi. Impiegato come trattamento specifico e selettivo per la profilassi dell’attacco emicranico, sia nelle forme episodiche che nelle forme croniche e refrattarie, galcanezumab viene somministrato una sola volta al mese, sottocute, e garantisce efficacia elevata e mantenuta nel tempo e ottima tollerabilità. Peraltro gli studi che hanno portato alla formulazione di anticorpi monoclonali come questo hanno anche consentito di identificare altre molecole impiegabili invece come trattamento acuto delle singole crisi in sostituzione agli antidolorifici più comuni.